Come faccio a innovare restando coerente alla mia visione?

Negli ultimi mesi ho avuto più di una conversazione in cui è emerso lo stesso tema, anche se con parole diverse.

Un cliente parlava di “aggiornare senza spaventare gli utenti”, un altro di “non perdere la nostra identità visiva”, un altro ancora, con più frustrazione, diceva:

“Il team interno vuole cambiare tutto, ma il board ha paura di sembrare un’altra azienda.”

Nel mezzo c’è sempre lo stesso dilemma: come faccio a innovare restando coerente alla mia visione?

È una tensione che chi fa design conosce bene.

Ogni volta che un prodotto evolve, ogni volta che ripensi un’interfaccia, che rivedi un flusso, che introduci una nuova logica, stai toccando qualcosa di profondo: la memoria visiva e funzionale delle persone. Ma anche le certezze interne dell’organizzazione che quel prodotto l’ha costruito, difeso, venduto.

Da quelle conversazioni ho cominciato a chiedermi cosa significhi davvero evolvere senza perdere riconoscibilità.
No, non è una questione tecnica o estetica: riguarda la relazione di fiducia che si costruisce passo dopo passo, vediamo come.

La coerenza non è un vincolo, è un punto d’appoggio

Cosa pensi quando senti la parola “coerenza”? “Zavorra” mi ha risposto un CTO di un vecchio progetto.

“Bisogna rimanere coerenti!” = un freno all’innovazione.

Ma se ci fermiamo un attimo, possiamo (dobbiamo!) vederla in un altro modo: come un filo rosso che tiene insieme esperienze diverse, versioni diverse, momenti diversi del ciclo di vita del prodotto.

Non si tratta solo di identità visiva, anche se quella è spesso la parte più visibile. Si tratta di linguaggio, modelli mentali, comportamenti appresi.

In questo senso, la coerenza è un atto di rispetto verso chi usa il tuo prodotto da tempo e ha già scelto di fidarsi di te.
Riconoscibilità però non significa immobilità, ma piuttosto consapevolezza di quello che funziona e merita di restare.

È frequente che nei progetti di redesign o rilancio, ci troviamo a fare da “ponte” tra due desideri opposti: il bisogno del team di cambiare radicalmente e il timore del management di perdere familiarità e riconoscibilità.

E in mezzo, ci sono le persone: utenti reali, con abitudini, aspettative, apprendimenti passati.

Il cambiamento è utile solo se è leggibile

In uno degli ultimi progetti su cui abbiamo lavorato, il redesign di un software per processi Hr, abbiamo scelto di non toccare subito l’architettura informativa; sapevamo che gli utenti dovevano potersi orientare anche dopo il cambiamento.

Quindi siamo partiti da quello che chiamo “micro-coerenza”: bottoni, pattern, interazioni. Abbiamo costruito una grammatica visiva e funzionale più solida.

Solo dopo aver reso il nuovo linguaggio riconoscibile, abbiamo affrontato le modifiche strutturali più profonde.

Ma quindi c’è una risposta alla domanda: come possiamo evolvere senza tradire?
Sì se capisci da dove iniziare e, soprattutto, cosa non toccare, in generale è una domanda che non ha una risposta unica.
Dipende dal contesto, dalla maturità del prodotto, dalla relazione con gli utenti, dalla velocità con cui si è cresciuti (o stagnati).
Ma è una domanda che vale la pena tenere viva, ogni volta che si inizia un nuovo progetto, ogni volta che qualcuno dice:

“Secondo me va rifatto tutto da zero.”

Forse il vero punto non è quanto cambiare, ma come

È proprio qui che il design gioca il suo ruolo più potente: non solo decidendo dove mettere un bottone, ma facilitando il passaggio da una versione all’altra di un’interfaccia, ma anche di un’organizzazione, di una cultura, di una relazione.

Alla fine, cambiare è inevitabile.

Ma il vero valore è progettare come attraversare il cambiamento, non solo cosa lasciare indietro.

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