Qualche settimana fa ho partecipato al Richmond Customer Experience Forum come Exhibitor. Due giorni immersa in conversazioni fitte con manager di aziende molto diverse tra loro, ma tutte con un obiettivo in comune: migliorare l’esperienza. È da lì che nasce questa riflessione. Non per dare risposte definitive, ma per condividere un pensiero che continua a tornarmi in testa ogni volta che ripenso a quei momenti. Perché tutti parlavano di Customer Experience, ma in pochi riuscivano davvero a raccontare cosa significhi progettarla, guidarla, farla vivere.

Ho iniziato a chiedermi: perché è così difficile? Perché ci troviamo ancora a dover convincere aziende e manager che l’esperienza è una leva competitiva, e non una patina da aggiungere sopra a quello che già c’è? La verità è che ci siamo abituati a considerare l’esperienza come qualcosa che “succede”. Ma la Customer Experience non è un effetto collaterale. È un risultato intenzionale. È il frutto di scelte, di attenzione, di una cultura che mette al centro le persone non solo a parole ma nei fatti.

Customer Experience: la fiducia non si progetta, si costruisce, ogni giorno

Ogni interazione, ogni mail, ogni bug, ogni feedback ignorato: tutto concorre a formare un’impressione. E da quell’impressione dipende se un cliente resta o se se ne va. Se parla bene di te o se scompare in silenzio. E non è una questione di estetica, ma di fiducia. È questo che spesso non si dice abbastanza: la CX non serve a farci belli, serve a costruire legami, a evitare sprechi, a generare valore nel tempo.

Secondo PwC, l’86% delle persone è disposto a pagare di più per un’esperienza migliore. Ma solo il 49% crede che le aziende la offrano davvero. (Fonte: “Experience is evertything: here’s how to get it right”)
Quel divario non è solo un’opportunità persa. È un punto debole nel sistema. E spesso ci si accorge della sua esistenza solo quando è troppo tardi: quando i clienti calano, quando il supporto si intasa, quando l’abbandono aumenta e non si capisce perché. Ma il “perché” è quasi sempre legato a come le persone si sentono quando vivono un’esperienza con te.

Ho visto aziende investire in tecnologia avanzata, rebranding accattivanti, campagne di comunicazione d’impatto… ma poi perdere tutto nel momento in cui un cliente chiedeva assistenza e si trovava davanti a un muro. Oppure in cui una promessa fatta nel marketing non trovava riscontro nell’esperienza reale. E lì ti accorgi che la Customer Experience non è un reparto, ma un sistema diffuso. È cultura. È coerenza. È responsabilità condivisa.

Customer Experience: iniziare da dentro, ascoltare, osservare, progettare

A chi mi chiede da dove iniziare, rispondo sempre la stessa cosa: provate a vivere la vostra esperienza come clienti. Davvero. Dall’inizio alla fine. Provate a contattare il supporto, a risolvere un problema, a comprare qualcosa senza aiuti interni. E poi annotate ogni piccolo attrito, ogni momento in cui vi siete sentiti persi, poco considerati, frustrati. Quei punti non sono solo scomodità. Sono perdite. Di tempo, di fiducia, di opportunità.

Quando lavoriamo con i clienti su questi temi, lo facciamo senza ricette precostituite. Non perché manchi la teoria — esistono framework solidi, metriche utili, benchmark — ma perché ogni azienda ha il suo contesto, la sua cultura, le sue priorità. Lavorare sulla Customer Experience significa prima di tutto ascoltare. Guardare. Coinvolgere i team interni. Creare allineamento tra ciò che si promette e ciò che si realizza. Non basta una bella interfaccia: serve un sistema che regge.

Personalmente, credo che investire in Customer Experience sia una delle forme più concrete di cura verso il proprio business. Perché non parliamo solo di soddisfazione: parliamo di efficienza, di ritorno, di sostenibilità a lungo termine. Una buona esperienza riduce i ticket di assistenza. Riduce la necessità di spiegare e rispiegare. Riduce il churn. E soprattutto, fa sentire le persone viste, considerate, rispettate. E quando ci sentiamo così, torniamo. E parliamo bene di chi ci ha fatto sentire così.

Non servono effetti speciali. Serve coerenza. Serve progettualità. E serve un po’ di coraggio per guardarsi dentro e chiedersi: “Siamo davvero all’altezza delle aspettative che generiamo?”

Non ho una chiusura definitiva per questa riflessione. Ma ho una convinzione: la Customer Experience non è un compito da delegare. È una direzione da scegliere. E se anche tu ti stai ponendo queste domande, siamo già sulla stessa strada.

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