Funzionalità inutilizzate, esperienze complicate e l’arte (strategica) di togliere

Qualche giorno fa ero in call con il CTO di un’azienda che offre un gestionale SaaS molto noto in ambito enterprise. Dopo aver guardato insieme la schermata principale del loro prodotto, ci siamo fermati in silenzio.

Poi lui ha detto: “Sembra una cabina di pilotaggio. Ci sono mille cose, ma non riesco a vedere ciò che conta davvero.”

Quella frase mi è rimasta addosso. Non perché fosse nuova, ma perché la sento sempre più spesso. CTO, product manager, stakeholder che si ritrovano a fare i conti con la stessa domanda: abbiamo costruito troppo?

E soprattutto: quante di queste funzionalità vengono davvero usate?

La corsa all’accumulo ci ha fatto dimenticare il valore della sottrazione

Negli ultimi dieci anni, abbiamo assistito a una corsa sfrenata all’aggiunta di funzionalità nei prodotti SaaS.

Ogni aggiornamento porta nuovi menù, nuove opzioni, nuove promesse. Ma poi guardi i dati (quelli veri) e scopri che tra il 64% e l’80% delle funzionalità in un SaaS enterprise non viene usata o viene usata pochissimo.

E allora mi chiedo: se una funzionalità non viene usata, ha davvero senso tenerla?
Non parliamo solo di estetica o performance: ogni funzione non utilizzata è codice da mantenere, interfaccia da spiegare, attrito cognitivo da gestire.

Il vero problema è che spesso progettiamo pensando a “cosa possiamo aggiungere” per convincere.

Ma oggi il vantaggio competitivo non è avere più feature. È risolvere problemi reali con meno frizione possibile. E questo significa semplificare, non moltiplicare.

Il punto è che, nella maggior parte delle aziende, il flusso che porta una richiesta del business fino al rilascio in produzione non è presidiato in modo strutturato. Nessuno valida le richieste in ingresso secondo criteri condivisi. Nessuno si prende davvero la responsabilità di decidere cosa entra in backlog e perché.

In questo modo Un prodotto che cresce per somma di istanze, non per strategia.

Da dove si parte per fare pulizia funzionale?

Fare pulizia non è sacrificare. È un atto di responsabilità progettuale.
Ma capisco la paura: la tentazione di aggiungere funzionalità è comprensibile.

I clienti le chiedono.
Il team marketing le vuole per battere la concorrenza.
Il reparto vendite le inserisce nelle demo.

Eppure chi ha avuto il coraggio di farlo racconta il contrario.
Spotify ha chiuso la sua app dedicata all’audio live. Airbnb ha sospeso l’espansione delle sue “Experiences” per concentrarsi sull’app principale. Non sono fallimenti: sono scelte di focalizzazione.

Nel nostro lavoro, quando proponiamo una revisione funzionale, non partiamo mai dalle ipotesi.

Partiamo dai dati.

  • Guarda i dati di adozione (strumenti come Amplitude, June o Mixpanel possono aiutare).
  • Confronta frequenza d’uso e impatto.
  • Fai una seconda analisi qualitativa: ascolta gli utenti, quelli silenziosi, quelli fedeli, quelli che restano. Spesso non chiedono di più. Chiedono solo che quello che già c’è funzioni meglio.
  • E infine, abbi il coraggio di togliere. O almeno, di spostare in secondo piano ciò che non è essenziale.

Un prodotto non deve spiegarsi. Deve farsi usare.

Quando si riesce a fare questo passaggio, qualcosa cambia. L’utente smette di sentirsi sopraffatto. Il team smette di rincorrere nuove idee e inizia a valorizzare le scelte giuste. Il design smette di essere decorazione, e torna a essere direzione.

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