Introduzione
Viviamo costantemente iper connessi, sovraccarichi di contenuti, di dispositivi, in ambienti digitali e fisici che si fondono e si rincorrono senza soluzione di continuità.
Eppure, quando un sito non funziona, un’app si chiude all’improvviso o uno spazio pubblico ci disorienta, la colpa viene quasi sempre attribuita a ciò che vediamo e che percepiamo direttamente: “non è bello”, “è lento”, “è complicato”.
Ma la verità è che molto spesso il problema non è nella veste grafica, né nella tecnologia.
Il vero ostacolo invisibile è un altro: una cattiva architettura dell’informazione.
Se l’utente non sa dove cliccare, dove guardare, da dove cominciare, non è perché il bottone è del colore sbagliato, ma perché il sistema non comunica gerarchie, priorità e relazioni.
Cos’è davvero l’Architettura dell’Informazione
L’architettura dell’informazione è l’organizzazione dell’informazione all’interno di un ambiente fisico o digitale.
È la struttura logica e funzionale dei contenuti che garantisce l’orientamento, e il senso, ed è alla base di ogni progetto di user experience design.
Spesso fraintesa o relegata a un ruolo tecnico, l’architettura dell’informazione è in realtà un atto strategico.
Non riguarda solo la sistemazione di testi o pulsanti, ma il modo in cui le informazioni vengono organizzate, etichettate, connesse e rese accessibili all’interno di un sistema, che sia un sito, una app, un evento o uno spazio fisico.
Si tratta quindi di progettare le condizioni che permettono alle persone di orientarsi, di capire dove si trovano e dove possono andare.
L’architettura dell’informazione non è visibile, ma ne sentiamo l’assenza ogni volta che non sappiamo a cosa dare priorità in un’interfaccia, vaghiamo senza meta in una fiera o ci arrendiamo davanti a un catalogo aziendale confuso.
Ecco perché l’architettura dell’informazione non è un dettaglio tecnico da lasciare a valle del processo progettuale. È un’ossatura concettuale, una disciplina che ha a che fare con la chiarezza, la comprensione,e, soprattutto, con la fiducia.
Perché oggi è più urgente: carico cognitivo
Il nostro cervello è continuamente sollecitato da un flusso di transizione tra spazi, dispositivi e linguaggi.
Tuttavia è in grado di processare un numero limitato di informazioni: prenoti un biglietto online e lo usi fisicamente. Inizi a leggere su desktop e continui sul telefono. Navighi una mostra attraverso QR code che ti riportano in rete.
Oggi l’informazione si propaga ovunque, per questo l’architettura dell’informazione riguarda qualsiasi ambiente:
- un negozio,
- un museo,
- un centro commerciale
- un aeroporto;
- un ospedale;
- di una app o di un sito web;
- Ecc
In questo scenario ciò che conta è saper fare delle scelte: la mole di informazioni è esplosa, l’utente medio è esposto a centinaia di decisioni e micro-segnali ogni giorno.
Eppure la sua capacità cognitiva è rimasta la stessa.
Ne consegue una crescente frammentazione mentale, una fatica costante nel selezionare ciò che è rilevante.
Ed è qui che l’architettura dell’informazione diventa cruciale: non per dire di più, ma per aiutare a trovare, scegliere, capire.
Chi progetta oggi non può più ignorare il fatto che l’informazione non è solo testo o contenuto: è un ambiente in cui ci si muove.
E come ogni ambiente, deve avere segnali, direzioni, punti di riferimento, connessioni.
I segnali invisibili del caos
La mancanza di una buona architettura dell’informazione si manifesta attraverso una serie di sintomi ricorrenti, spesso trascurati perché attribuiti ad altri fattori.
- Il visitatore di un sito abbandona la pagina dopo pochi secondi, e si dà la colpa alla lentezza del caricamento.
- L’utente di un’app non sfrutta le sue funzionalità avanzate, e si pensa che serva un restyling.
- Il cliente in un negozio non trova ciò che cerca, e si cambia il layout espositivo.
Il problema deriva da una disorganizzazione strutturale dell’informazione.
Quando le relazioni tra contenuti non sono chiare, quando manca una gerarchia visiva e semantica, quando le etichette non parlano la lingua dell’utente, il sistema fallisce. Anche se esteticamente funziona.
Pensiamo ai siti della Pubblica Amministrazione: hanno contenuti cruciali, ma spesso nessuno sa dove trovarli. O alle app aziendali, piene di funzionalità, ma senza un centro logico che le metta in relazione. Il risultato è sempre lo stesso: confusione, frustrazione, abbandono.
2 storie online e offline che dimostrano la potenza dell’Architettura dell’Informazione ben fatta
1. Un gestionale B2B
Immagina una piattaforma per la gestione ordini all’interno di una PMI che il personale utilizza il minimo indispensabile.
Alcune funzioni avanzate, pensate per migliorare l’efficienza, non vengono utilizzate. Qualcuno potrebbe parlare di possibile resistenza al cambiamento, di mancanza di formazione, il problema dell’adoption, ma forse il problema è altrove.
Quando si osserva con attenzione il sistema, non emergono bug o carenze tecniche.
Il problema è informativo:
- I menù sembrano usciti da un manuale operativo.
- Le informazioni sono frammentate, distribuite su schermate che non dialogano tra loro.
- Mancano punti di orientamento chiari, e soprattutto manca una visione d’insieme.
- Per chi entra nel sistema con un obiettivo concreto (fare un ordine, verificarne lo stato, consultare uno storico) ogni passaggio è un piccolo sforzo cognitivo non necessario.
Questo esempio vuole far capire la necessità di cercare un nuovo modo di pensare l’organizzazione dell’informazione.
Un’architettura che parta dalle reali attività quotidiane degli utenti e le traduca in percorsi chiari, intuitivi, logici.
In un approccio del genere, una dashboard iniziale potrebbe diventare un centro di gravità visivo e funzionale, mettendo in evidenza le azioni principali.
Le etichette dei comandi verrebbero riscritte usando la lingua di chi utilizza la piattaforma, non quella dell’ERP. E informazioni contestuali: leggere microtesti, suggerimenti, segnali visivi, potrebbero guidare passo dopo passo, senza invadere lo spazio ma orientando le scelte.
Il punto è che bisogna far dialogare le informazioni e quindi ripensare l’esperienza come un sistema di relazioni, non come un elenco di funzionalità.
Quando il sistema viene riorganizzato in questo modo, le persone iniziano a usarlo con più naturalezza perché il sistema stesso inizia a parlare la loro lingua.
2. Una fiera internazionale
Quando tutte le informazioni sono disponibili, ma nessuna è confrontabile
Chi visita una fiera tematica, soprattutto nei settori industriali, tech o professionali, spesso non lo fa per “scoprire cosa c’è”, ma per valutare e confrontare offerte simili. Cerca un nuovo fornitore, una tecnologia più efficiente, un partner affidabile. È un processo decisionale, non solo esplorativo.
Eppure, uno dei problemi più sottovalutati nell’organizzazione informativa di una fiera è proprio questo: l’assoluta assenza di criteri comuni per aiutare le persone a confrontare tra loro gli espositori.
Ogni stand comunica a modo suo, ogni brochure adotta uno stile diverso.
Alcuni mettono al centro il prodotto, altri il brand, altri ancora il claim di campagna. Non esistono schede sintetiche che facilitino la comparazione, né sistemi visivi che aiutino a cogliere in pochi secondi i punti forti di un’offerta.
Di conseguenza, il visitatore accumula informazioni, ma non riesce a elaborarle. La memoria si sfuma, la valutazione diventa approssimativa. Si torna a casa con un mucchio di cataloghi, ma nessun criterio chiaro per scegliere.
Questo non è un problema di marketing, né di grafica. È un problema di architettura dell’informazione collettiva: non tanto all’interno dello stand, quanto tra gli stand. L’evento dovrebbe aiutare a leggere le differenze, rendere visibili i parametri comuni, progettare formati di presentazione che agevolino l’analisi comparata.
Basterebbe, ad esempio, introdurre un formato di scheda standard per tutti gli espositori, una sorta di “carta d’identità” visiva, sintetica e trasparente, che riporti in modo uniforme: area di attività, punti di forza, fasce di prezzo, compatibilità, casi d’uso. O integrare un sistema di filtri anche nel percorso fisico, non solo in quello digitale.
L’architettura dell’informazione, in questo contesto, non ha il compito di “aggiungere” contenuti, ma di far emergere strutture comuni tra contenuti diversi.
Di progettare un terreno condiviso, sul quale le decisioni possano poggiare in modo chiaro e consapevole.
Costruire una buona Architettura dell’informazione richiede metodo, non intuito
Non bisogna pensare che l’information architecture sia un’attività di marketing o di scrittura di testi.
È una disciplina a sé basata sul metodo scientifico. Una buona architettura dell’informazione nasce da un processo rigoroso di ascolto, analisi, organizzazione e test.
- Ricerca: capire i bisogni informativi reali, non quelli ipotizzati.
- Organizzazione: categorizzare, taggare, etichettare con logica.
- Prototipazione: disegnare le mappe, testare i percorsi, misurare le reazioni.
- Iterazione: l’IA non è mai finita
Il primo passo è capire davvero i bisogni degli utenti, osservare il loro comportamento, raccogliere dati qualitativi e quantitativi. Non basta chiedere cosa vogliono: bisogna guardare come cercano, dove si fermano, cosa ignorano.
Poi si costruisce una logica di classificazione: categorie, etichette, percorsi. Ma è fondamentale farlo parlando la lingua dell’utente.
La prototipazione aiuta a testare in piccolo, correggere, iterare. E non bisogna mai considerare l’IA come “finita”: ogni nuova funzione, contenuto o pubblico modifica gli equilibri.
Un sistema vivo richiede manutenzione, adattamento, cura.
Curare l’architettura dell’informazione significa prendersi la responsabilità di ciò che non si vede, ma che sostiene l’intera esperienza.
È la differenza tra un sistema che richiede sforzo per essere usato e uno che si lascia navigare con naturalezza.
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